08 Ott 2012

7 buoni motivi per fondare una startup

0 Commenti

Su questo blog abbiamo parlato di Makers e Social Media Week, del gelato più buono del mondo e di design del riciclo.

E che cos’hanno in comune tutte queste cose? La concezione radicale che anche (soprattutto) in un momento di crisi l’investimento del campo delle idee diventa primario per risultare vincenti nell’impresa e nel business.

A fianco di una buona idea poi, non ci stanchiamo di ripetere che una solida formazione è un mezzo indispensabile sia per riuscire nell’impresa stessa, sia per trasmettere a potenziali investitori la sicurezza che le loro risorse saranno in mano a persone competenti e preparate.

In questo articolo che riportiamo da wired ci sono 7 buoni motivi per fondare una startup.

Ecco perché in Italia non c’è mai stato un momento migliore per diventare startupper, nonostante la crisi.

Giuditta Mosca

Tra le norme del decreto che intendono dare una scossa all’economia italiana spiccano quelle pensate a favore delle startup, come vi abbiamo raccontato110milioni di euro pronti da essere iniettati e un’altra ingente somma (compresa tra i 50 e i 100 milioni) che verrà stanziata dal Fondo Italiano d’Investimento. Il decreto Ulteriori misure urgenti per la crescite del Paese pone l’occhio anche sul concetto di fallimento, tanto caro alle culture transoceaniche laddove un’esperienza negativa è vissuta come una scuola e viene valutata in modo differente rispetto all’Italia. Chi non dovesse riuscire godrà di regole meno punitive; un fallimento verrà classificato come una crisi da sovraindebitamento e, dopo un anno, il suo nome non sarà più di accesso pubblico. Questi sono, in ordine cronologico, i motivi numero sei e numero sette. Vediamo gli altri.

Leggi tutto l'articolo
Il vento di crisi fa bene. Joseph Schumpeter, uno tra i più grandi economisti del 20esimo secolo, sosteneva che la crisi fosse una distruzione creatrice. Oltre la metà delle big fortune, ovvero le imprese che sono diventate colossi, sono nate in tempo di crisi. IbmEdison e Procter & Gamble, solo per citarne alcune. Quest’ultima, in particolare, ha una storia tutta sua (nasce dall’unione di un produttore di saponi e uno di candele) e, tanto per lasciare parlare i numeri ha 127mila dipendenti nel mondo, un fatturato di 79 miliardi di dollari e un utile netto di 12,7 miliardi (dati 2010). È al 26esimo posto della classifica Fortune 500. L’anno scorso figurava al quinto posto della classifica World’s Most Admired Companies stilata da Fortune. Il perché è semplice e piuttosto banale: in tempo di crisi le aziende non investono in ricerca e sviluppo, creando così ampie finestre alle idee innovative di cui c’è sempre bisogno. L’Italia, da questo punto di vista, è terreno particolarmente fertile considerando che è fanalino di coda negli investimenti rapportati al Pil.
La cultura della startup fino a pochi anni fa non c’era. Fino alla metà dello scorso decennio parole come incubatore, acceleratore, Venture Capital, angel o round di investimenti le conoscevano in pochi. Oggi invece sono nozioni largamente diffuse e prende piede l’idea che un’idea o un prodotto, per quanto buoni siano, in assenza di tutte le capacità necessarie, faranno molta fatica a diventare azienda. Si tratta di un know-how accessibile a tutti, giacché anche in Italia vi è un numero sempre crescente di incubatori e acceleratori.
Soldi, soldi, soldi… Gli investitori, oggi, guardano all’Italia con crescente interesse. Per il rapporto Pem nel 2011 ci sono stati 43 investimenti in startup, più del doppio rispetto ai 20 del 2009. Aumenta anche il finanziamento medio che passa da 1 milione a 2,4 milioni di euro.
Riflettori favorevoli per le idee innovative. Con buona regolarità i media mettono in evidenza storie di startupper che hanno avuto successo, giornali, telegiornali e contenitori televisivi dedicano spazio ai nuovi imprenditori. Ed è una condizione temporanea: quando le startup finiranno di fare notizia (e prima o poi accadrà) allora le nuove imprese avranno meno pubblicità gratuita.
Carenza di lavoro e dumping salariale non vanno sottovalutati. In questo caso la domanda è semplice, e vale soprattutto per quell’esercito di neo-laureati i quali, in virtù del proprio titolo di studio, possono contare – ovviamente in linea teorica – su impieghi ben remunerati. È meglio attendere l’occasione d’oro oppure creare una propria attività e dare corpo alle proprie idee anche a costo, soprattutto nei primi anni, di guadagnare meno dello stipendio che si percepirebbe trovando un posto di lavoro? Insomma… sfortuna vuole che il momento per agire e creare una startup non sia mai stato tanto buono.
 
Licenza Creative Commons This opera is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.

[Inizio]